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Le novità introdotte dalla Direttiva UE 2023/970 in tema di parità retributiva di genere

Il 10 maggio 2023 è stata approvata la Direttiva UE 2023/970 del Parlamento e del Consiglio “volta a rafforzare l’applicazione del principio della parità di retribuzione tra uomini e donne per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore attraverso la trasparenza retributiva e i relativi meccanismi di applicazione (Testo rilevante ai fini del SEE)”.

Nell’Unione Europea il dato relativo al divario retributivo di genere si attesta in media intorno al 12%, con notevoli differenze tra i diversi Stati membri. La Direttiva in esame è stata adottata proprio al fine di ridurre tale divario e rafforzare l’applicazione dei principi generali della parità di trattamento salariale, del divieto di discriminazione in base al genere, delle pari opportunità e della parità di trattamento in materia di impiego e occupazione.

La Direttiva stessa evidenza, infatti, che tra le principali problematiche riscontrate nell’applicazione dei suddetti principi vi sono la mancanza di trasparenza nei sistemi retributivi, la mancanza di certezza giuridica sul concetto di lavoro di pari valore e gli ostacoli procedurali incontrati dalle vittime di discriminazione. La Direttiva, pertanto, si pone l’obiettivo di intervenire proprio su tali problematiche operative.

Quanto all’ambito applicativo della Direttiva, le disposizioni in essa contenute troveranno applicazione sia nel settore pubblico che nel settore privato, e saranno rivolte in senso ampio a tutti i lavoratoriche hanno un contratto di lavoro o un rapporto di lavoro quale definito dal diritto, dai contratti collettivi e/o dalle prassi in vigore in ciascuno Stato membro, tenendo in considerazione la giurisprudenza della Corte di giustizia”. Sono altresì compresi nell’ambito applicativo della Direttiva altre categorie di lavoratori, quali i lavoratori domestici, i lavoratori a chiamata, i tirocinanti e gli apprendisti, a condizione che soddisfino i criteri individuati. La Direttiva, peraltro, si applica anche nella fase selettiva dei candidati a un impiego.

Anche la nozione di retribuzione è ampia e comprende altresì le componenti complementari o variabili della retribuzione. I principi di parità devono essere osservati con riferimento a qualsiasi salario, stipendio o ogni altro vantaggio pagato direttamente o indirettamente dal datore di lavoro al lavoratore a motivo dell’impiego di quest’ultimo.

Il nucleo principale della Direttiva riguarda la trasparenza retributiva, il divieto di segreto salariale e l’accesso alle informazioni sulla retribuzione per i lavoratori e le lavoratrici.

Gli Stati membri sono invitati ad adottare le misure necessarie affinché sia garantito ampio accesso alle informazioni sulla retribuzione già a partire dalla fase di selezione dei candidati a un impiego, per consentire agli stessi una trattativa consapevole. Per i candidati a un impiego, la Direttiva dispone infatti il diritto di accedere alle informazioni relative alla retribuzione iniziale e all’inquadramento, ai criteri di assegnazione e alle fonti di regolazione del rapporto e stabilisce il divieto di chiedere ai candidati informazioni sulle retribuzioni percepite negli attuali o nei precedenti rapporti di lavoro.

In generale, è richiesta ai datori di lavoro trasparenza nella determinazione delle retribuzioni e dei criteri per la progressione economica ed è previsto il diritto dei lavoratori di richiedere e ricevere per iscritto informazioni sul loro livello retributivo individuale e sui livelli retributivi medi, ripartiti per sesso, delle categorie di lavoratori che svolgono lo stesso lavoro o un lavoro di pari valore. I lavoratori devono altresì essere informati dal datore di lavoro in merito al diritto stesso di ricevere informazioni ed alle attività che il lavoratore deve intraprendere per esercitare tale diritto.

La Direttiva, peraltro, impone ai datori di lavoro di grandi dimensioni di fornire obbligatoriamente ad un organo incaricato una serie di informazioni relative al divario retributivo (divario retributivo di genere; divario retributivo di genere nelle componenti complementari o variabili; divario retributivo mediano di genere; la percentuale di lavoratori di sesso femminile e di sesso maschile che ricevono componenti complementari o variabili, ecc.), informazioni che dovranno poi essere costantemente aggiornate alle scadenze individuate dalla Direttiva e sulla base del numero dei lavoratori impiegati.

Un ruolo fondamentale e attivo è previsto in capo ai rappresentanti dei lavoratori ed alle parti sociali, che partecipano alla valutazione delle retribuzioni e cooperano con i datori per correggere e prevenire le differenze retributive.

Il capo III della Direttiva disciplina, poi, i mezzi di tutela e applicazione del principio di parità retributiva. I lavoratori che si ritengono lesi dalla mancata applicazione del principio di parità retributiva non devono essere ostacolati nell’accesso ai procedimenti giudiziari e devono poter ottenere il pieno risarcimento per i danni subiti. Gli Stati membri devono garantire che, in caso di violazione dei diritti o degli obblighi connessi al principio della parità di retribuzione, le autorità competenti o gli organi giurisdizionali nazionali possano emettere, su richiesta della parte ricorrente e a spese del convenuto, un provvedimento che ponga fine alla violazione e/o un provvedimento per adottare misure volte a garantire che i diritti o gli obblighi connessi al principio della parità di retribuzione siano applicati. Se il datore di lavoro non si conforma, gli Stati membri provvedono affinché le autorità competenti o gli organi giurisdizionali nazionali possano emettere un’ingiunzione di pagamento di una pena pecuniaria suscettibile di essere reiterata, al fine di garantirne l’esecuzione. La tutela dei lavoratori è favorita dall’inversione dell’onere probatorio: ove il lavoratore abbia prodotto elementi di fatto in base ai quali si possa presumere che ci sia stata una discriminazione retributiva diretta o indiretta, è onere della parte convenuta dimostrare l’insussistenza di tale discriminazione. L’inversione dell’onere probatorio opera anche nel caso in cui il datore di lavoro non abbia rispettato gli obblighi in materia di trasparenza previsti dalla Direttiva. Con le stesse finalità, la Direttiva prevede anche la possibilità di imporre al datore di lavoro di divulgare qualsiasi elemento di prova pertinente che rientri nel suo controllo, oltre alla possibilità di esonerare il lavoratore dal pagamento delle spese di giudizio anche in caso di soccombenza.

Sul piano sanzionatorio, la Direttiva impone agli Stati membri di prevedere sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive da applicare in caso di violazione dei diritti e degli obblighi connessi al principio della parità di retribuzione. È espressamente stabilito che il risarcimento o la riparazione debbano comprendere il recupero integrale delle retribuzioni arretrate e dei relativi bonus o pagamenti in natura, il risarcimento per le opportunità perse, il danno immateriale, i danni causati da altri fattori pertinenti che possono includere la discriminazione intersezionale, nonché gli interessi di mora.

Inoltre, gli Stati membri devono adottare misure ad hoc volte a garantire il rispetto degli obblighi connessi al principio della parità di retribuzione anche nell’ambito degli appalti pubblici e delle concessioni, prevedendo la possibilità di imporre alle amministrazioni aggiudicatrici l’introduzione di sanzioni e condizioni di risoluzione che garantiscono il rispetto del principio della parità di retribuzione nell’esecuzione degli appalti pubblici e delle concessioni.

La Direttiva, emanata a conclusione della strategia per la parità di genere 2020-2025 della Commissione europea, dovrà essere recepita dagli Stati membri entro il 7 giugno 2026.

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